Una vera meraviglia! Semplice e sobria, come una piccola chiesa romanica, sorgente dello Spirito. Agli inizi del secolo XIII, alcuni Fratelli eremiti sono radunati presso una fonte alle pendici del Monte Carmelo, in Palestina. Da secoli, il Profeta Elia è venerato in questo luogo: è detto appunto la fonte d’Elia. Provenivano dalla Francia, dall’Italia, dall’Inghilterra; avevano lasciato le loro case per questa Terra Santa, dove è vissuto Gesù Cristo, il Signore. Un giorno, per un accordo comunitario, si decidono ad andare a trovare il Patriarca di Gerusalemme, Alberto. Gli espongono il loro progetto e gli domandano una Regola di vita. La Regola primitiva.
Qualche decina d’anni più tardi, la comunità è cresciuta, ma nello stesso tempo la Terra Santa è stata progressivamente rioccupata dai Mussulmani. Un buon numero di fratelli sono tornati allora nei loro paesi d’origine. Hanno dovuto adattarsi alle nuove condizioni di vita; si sono riavvicinati alle città, si profila una certa vita comunitaria. Nuova decisione, e si rivolgono questa volta al Papa Innocenzo IV, per adattare la Regola. L’architettura primitiva della piccola chiesa subisce allora qualche ritocco importante, ma resta la “ispirazione primitiva”. Perché sia ben caratterizzata, un nome senz’altro deve essere pronunciato: quello di Gesù Cristo. Sul portale d’entrata della nostra piccola chiesa tu trovi in effetti: “Vivere nella devozione di Gesù Cristo e con cuore puro a Lui servire”. Si tratta di vivere radicalmente ciò che sta al cuore della vocazione di ogni battezzato.
Non smettere mai di attendere a Cristo nella fede, per imparare da Lui a dipendere in tutto. ServirLo fedelmente, non solo nei gesti e nelle azioni, ma con l’offerta del proprio cuore. Lavorare alla crescita del suo Regno, fino ai confini della terra, secondo la volontà del Padre. Ecco il desiderio che freme al Carmelo. Ecco la luce che illumina la via di questi “frati eremiti”. Così sono stati nella solitudine del Carmelo, così sono chiamati ad essere nel cuore della città.
EREMITI
“Rimanga ciascuno solo nella sua cella, meditando giorno e notte la Legge del Signore e vegliando nella preghiera; a meno che non sia legittimamente occupato in altre cose”. Vocazione ad una solitudine per una preghiera continua. Comprendiamoci. Non si tratta di pensare sempre al Signore con la testa. Perché, per progredire nel cammino della preghiera, “non si tratta di molto pensare, ma di molto amare”, dirà Santa Teresa di Gesù. La preghiera continua è in realtà un orientamento permanente d’un cuore, che in ogni circostanza rimane rivolto e proteso verso l’Amato. È un dono che il Signore desidera accordare a quelli che vi si dispongono. Eremiti, che vivono anche come:
FRATELLI
Già lo sono per il Battesimo. Lo diventeranno ancor più, di giorno in giorno. Ogni giorno la celebrazione dell’Eucaristia li riunisce e li edifica in comunità. Si radunano partecipando alla preghiera di lode e di intercessione della Chiesa. Mediante incontri, si sforzano di comprendere ancor meglio le grandezze e le esigenze della loro vocazione. E procedono tutti insieme in un’esperienza. “La correzione dei difetti e delle mancanze di ciascuno”: se fatta con amore e umiltà reciproca, diventa un modo privilegiato di scoprirsi tutti fratelli, perché tutti oggetto della misericordia del Signore.
La Regola precisa poi il clima di questo cammino. E lo fa in quattro punti:
1. Anzitutto, se voi siete al Carmelo, non è per menarvi una vita comoda. Perché è impossibile voler vivere in Cristo, senza essere coinvolti nel “combattimento spirituale”. Le armi da impugnare sono quelle di cui parla San Paolo: credere e sperare, cercando di amare Dio e il prossimo in ogni circostanza, non smettendo mai di appoggiarsi alla Parola di Dio.
2. Il dovere di lavorare (originariamente: lavoro manuale sempre, anche se spesso potrà essere lavoro intellettuale, lavoro apostolico), per meglio condurre il combattimento e per mangiare “un pane guadagnato”.
3. Il clima abituale sarà il silenzio, più o meno rigoroso secondo i momenti della giornata. Ma il richiamo è chiaro a non disperdersi in parole inutili ed a fare l’esperienza che “nel silenzio e nella speranza sta la nostra forza”.
4. Infine, il rapporto del Priore, responsabile della comunità, con i suoi frati, sarà condotto nel segno della fede: il primo facendosi servitore dei suoi fratelli, come Gesù Cristo, i secondi considerando nel Priore colui che Gesù Cristo ha posto al di sopra di essi per aiutarli a rispondere alla loro vocazione.
Un’ultima parola per raccomandare di non dire mai: “Ho fatto abbastanza”, perché l’amore non conosce misure. Occorre agire con saggezza e discernimento, il cuore proteso a Cristo Gesù, nell’attesa della sua venuta.