14 Set Il Carmelo di Parma tra clausura e lockdown
Il Carmelo di Parma tra clausura e lockdown
Cari Amici,
«…tanto, siamo di clausura!»: così commentavamo fra noi quando si cominciava a parlare sempre più insistentemente di una quarantena nazionale che avrebbe chiuso tutti in casa. Insomma, eravamo convinte che i provvedimenti anti-contagio non ci avrebbero toccate più di tanto. E in parte avevamo ragione. Ma solo in parte. Perché in realtà l’esperienza del lockdown e della pandemia ad esso connessa ci ha coinvolte oltre le nostre previsioni. Prima di tutto, perché abbiamo condiviso la sofferenza di migliaia e migliaia di nostri fratelli colpiti dal virus direttamente o nella persona dei familiari; così come abbiamo partecipato ai disagi del personale ospedaliero e a quelli di tanti italiani che hanno patito l’isolamento o hanno avuto conseguenze nefaste sulle loro attività lavorative: una condivisione non malgrado la clausura, ma proprio per la clausura, che ci «abilita» a sentire come nostri i dolori del mondo e a portarli davanti a Dio nella preghiera.
Quanto al senso di precarietà e dipendenza da Dio che il virus ci ha insegnato… non c’è bisogno di parlarne: abbiamo frequentato tutti la stessa lezione! Poi, perché in una vita regolata al millimetro come la nostra, i più piccoli cambiamenti sanno di rivoluzione: e di cambiamenti il virus ce ne ha fatti fare tanti! La Santa Messa, innanzitutto: per qualche giorno eravamo riuscite ad avere una celebrazione tutta per noi, in coro. Ma i bravi padri indiani che venivano a presiedere, con l’aumentare delle restrizioni, non hanno più osato uscir di casa, anche perché nel frattempo erano già incappati nella polizia: a quel punto non abbiamo insistito, anche a motivo della loro delicata posizione di stranieri. Così, già in marzo siamo rimaste senza Messa, con due eccezioni, però: il 19 marzo i Minori Conventuali presenti in Parma hanno decretato che il giorno di San Giuseppe le figlie di Santa Teresa non potevano stare senza Messa e così, con francescana disinvoltura, uno di loro è arrivato in monastero come se niente fosse e ha celebrato! Altra bella eccezione, il giorno di Pasqua. Con la scusa di doverci portare un rifornimento di «benzina» (leggi: denaro liquido prelevato in banca…), il nostro Padre Renzo ha anche celebrato! Negli altri giorni abbiamo effettuato una Liturgia della Parola che si è andata sempre più rodando e arricchendo: canti, tempi di silenzio e, negli ultimi tempi, una «nuova» libertà espressiva, data in particolare dalle risonanze dopo il Vangelo, arricchite da piccoli ma intensi commenti lasciati alla sensibilità, alla discrezione e… all’ispirazione di ciascuna. La Comunità ha apprezzato questa novità liturgica, al punto che l’abbiamo poi mantenuta anche dopo la fine del lockdown, nei giorni feriali e in sostituzione della consueta omelia. Una menzione speciale va al Triduo Pasquale. Il Giovedì Santo ci siamo raccolte in cripta, allestita come una mensa (abbiamo proprio delle brave scenografe!) dove il posto d’onore era riservato – in mancanza della Celebrazione Eucaristica – al leggìo con la Parola del Signore. Letture, silenzi, meditazioni, e alla fine la Comunione: il tutto in un clima intimo, familiare e solenne allo stesso tempo: come deve essere stata l’Ultima Cena… Preparata e curata in ogni particolare anche la Veglia Pasquale, alla quale – piccolo gregge senza Pastore… – abbiamo cercato di dare la massima solennità possibile. Abbiamo ancora sotto gli occhi la bellissima cerimonia dell’accensione del cero, nel giardino del chiostro, fatta con un suggestivo fuocherello di sterpaglie accuratamente predisposto. Naturalmente ci è scappato l’inconveniente: e cioè sul più bello scopriamo che il cero era ancora in sacrestia… ma il fuocherello (sempre più flebile… che momento di suspence!) ha avuto l’accortezza di spegnersi un secondo dopo che il cero – dopo l’immaginabile corri-corri – era stato recuperato e acceso! Ancora due forme di partecipazione al disagio comune: il digiuno, che abbiamo effettuato con tanto amore e come meglio abbiamo potuto (tenendo conto dell’età e dei bisogni dei singoli…) nelle giornate proposte dal Santo Padre, del quale abbiamo anche seguito la preghiera nella Piazza San Pietro deserta; e la confezione di mascherine: centinaia e centinaia, che abbiamo poi donato a delle infermiere di nostra conoscenza e fiducia perché le distribuissero secondo il loro criterio. Particolarmente caldo è stato anche il telefono; la lunghezza delle giornate chiuse in casa ha spinto un’infinità di persone a fare il nostro numero e a chiedere come stavamo… Già, come stavamo? Abbiamo preso tante precauzioni e la maggioranza della comunità è stata proprio bene, comprese le due decane di 95 e 96 anni. Però, però… qualche colpo di tosse in più del dovuto e una febbre non alta ma irriducibile, ci ha indotte a chiedere il tampone per la Madre e una delle sorelle polacche. Un’avventura! Dopo qualche giorno dalla nostra richiesta vediamo arrivare due astronauti, bardati all’inverosimile. I quali hanno decretato: Tosse? Allora è coronavirus. E certamente lo avrete tutte. Quindi il tampone è inutile. Hanno alzato il tacco e se ne sono andati con la loro brava bardatura, lasciandoci su due piedi a sgranare gli occhi incredule! Nuova richiesta di tampone, stavolta andata a buon fine: sia perché è stato effettuato, sia perché – grazie a Dio – è risultato negativo! Ma il medico che ha «presieduto» l’operazione-tamponi afferma che secondo lui tutta la comunità ha avuto il virus: semplicemente, non se ne è accorta. Può darsi… crediamogli pure, visto che a questo punto ormai si paga tanto uguale!
Le Carmelitane di Parma
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